
Tra corruzione e violenza, la fotografia di un Paese ostaggio della criminalità organizzata.
Bruno De Stefano
Sfogliando le pagine della nuova fatica letteraria di Bruno De Stefano, “La Penisola dei Mafiosi”, si riceve un’amara sorpresa visto che la penisola italica, “quel ponte verso l’Africa” non è più solo la terra di poeti e naviganti ma, purtroppo, “un Paese ostaggio della criminalità organizzata”.
Quattro, o forse cinque, organizzazioni criminali che hanno corrotto l’economia ed una trasversale rappresentanza della classe politica di cui, adesso, sono anche parte integrante con i loro rappresentanti.
L’analisi compiuta da De Stefano è completa e soddisfacente, dura, spietata e a tratti inquietante. Una fotografia di un Paese che sembra compiacersi quando sottoscrive patti con mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita e mafie straniere. Se volessimo, erroneamente, attenerci all’idea lombrosiana dovremmo convenire che, probabilmente, una parte del nostro dna è compromesso già prima della nostra nascita.
Una situazione che è oramai degenerata e che vede addirittura la Lombardia assicurarsi un non incoraggiante quarto posto, dietro Sicilia, Calabria e Campania, nella classifica delle regioni italiane con la presenza di un più alto tasso di criminalità organizzata.
Il lavoro giornalistico qui riportato non è il frutto di fantomatici voli pindarici ma la giusta e onesta , anche da un punto di vista professionale, elaborazione di dati, inchieste, relazioni di magistrati e delle commissioni nazionali antimafia succedutesi in questi anni che alla sola lettura dovrebbero far rabbrividire il lettore. Ma si sa nel Paese di Biutiful Cauntri dove la corrotta classe politica, già da tempo rinviata a giudizio, continua a stipulare compromessi storici e a dispensare prebende alle proprie clientele politiche, pur di non pagare le proprie pendenze alla giustizia, non possiamo aspettarci altro che tanta indifferenza quando ad emergere dall’attenta ed equilibrata penna di un giornalista è la dura, nuda e cruda verità.
Ciò che convince di questo lungo ma attento lavoro è proprio la capacità di analisi di ciò che accade nel diverse aree geografiche del Paese fino a quella più dettagliata, e qui si raggiunge la seconda parte del volume, quando la lente di ingrandimento viene posta su quei comuni dove corruzione, infiltrazione e per farla breve i patti tra la mala politica e la criminalità organizzata hanno rappresentato l’unico vero statuto che sia stato rispettato.
Un libro che meriterebbe un’attenzione ben diversa da quella che ad esso possono riservare delle semplici recensioni ma, e questo è triste, scriverlo, nell’Italia del dopo Gomorra sembra che nulla meriti un’attenzione maggiore.
Pietro Nardiello
fonte Articolo21
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