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Cultura: l'unica droga che crea indipendenza. le notizie sono «fatti»... oppure «opinioni»... ?



l'anno che verrà

senza berlusconi e pediculosi del capo

«... La democrazia, in tutte le sue componenti, fra cui la giustizia e la libertà d'informazione
e di espressione, rappresenta un sistema di anticorpi. Se questi anticorpi non funzionano
i politici lestofanti hanno via libera e dilagano le prepotenze, la corruzione ed altri mali... Noi italiani potremo guarire se ci convinciamo che è in gioco la nostra stessa dignità: accettiamo di diventare sudditi o vogliamo restare persone libere?»

Scrive così Paolo Sylos Labini, il "cittadino indignato", autore di
Berlusconi e gli anticorpi. Diario di un cittadino indignato


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squallidi politicanti

Berlusconi: ingerenze magistratura sono "emergenza democratica"

Spogli:D'Alema,giudici?minacciano Stato


il 2010 si chiude con il meglio della spazzatura umana

Montesquieu, I tre poteri dello stato

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per me è stata un'occasione unica

GIORGIO AMBROSOLI

Il ricordo (e l’esempio) di Giorgio Ambrosoli sono una componente essenziale della nostra riflessione inseriamo nel sito questa lettera, indirizzata da Ambrosoli alla moglie, che contiene il suo testamento spirituale.



Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana n.d. r.) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica.

Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell'Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.

I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.

Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro [... ]

Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.

Hai degli amici, Franco Marcellino, Giorgio Balzaretti, Ferdinando Tesi, Francesco Rosica, che ti potranno aiutare: sul piano economico non sarà facile. ma - a parte l'assicurazione vita – (…)

Giorgio

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la memoria a volte ritorna e lascia tracce spesso indelebili

Il Rapido 904 e quelle vittime innocenti

di Daniele Biacchessi - 23 Dicembre 2010

La strage del treno Napoli-Milano esattamente 26 anni fa in una galleria buia fra Firenze e Bologna

Daniele Biacchessi 23 dicembre 1984. Manca poco a Natale. Il Rapido 904 corre lungo la tratta Napoli-Milano. Gli scambi incrociano i binari, poi li separano e ancora li incrociano. Tu tu tu tum...
Le carrozze sono stracolme di persone. Le valige non si riescono nemmeno a contare. Invadono i corridoi, fin quasi dentro i bagni. Ci sono i sacchetti con i regali impacchettati. Ci sono i salumi, i formaggi del Sud, il pane buono, quello fatto in casa, i dolci poche ore prima sfornati. Nei portafogli qualcuno mostra con orgoglio le fotografie dei nipotini e dei figli più grandi da mostrare orgogliosi ai parenti lontani. I bimbi più piccoli piangono. Le madri li accarezzano di poco accanto.
Chi legge, chi dorme, chi guarda fuori dai finestrini appannati. Tu tu tu tum...Il Rapido 904 é come un mulo, solo le stazioni e i semafori rossi possono fermarlo. Di chilometri ne deve avere macinati tanti prima di quella sera.Tu tu tu tum...

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anno-flop per Berlusconi

un fallito e incapace che piace tanto alla chiesa e alle mafie

La stampa estera boccia l'Italia "Treni come cent'anni fa, città in tilt per un po' di neve
gli italiani meriterebbero qualcosa di meglio"


Silvio Berlusconi
ROMA - Il governo Berlusconi? Una catastrofe. Figuracce internazionali, crollo dei consensi, leggi ad personam. In un Paese che va in tilt per un po' di neve, e dove i treni viaggiano come cent'anni fa. Ecco l'Italia e Berlusconi visti dalla stampa estera. In particolare dal francese Le Monde e dal tedesco Sueddeutsche Zeitung che tracciano un consuntivo dell'annata politica italiana 2003, e dell'operato del governo, lucido e dettagliato. Per giungere ad una sconsolata conclusione: gli italiani meriterebbero altro. Gli italiani, si precisa, non Berlusconi. Il quale, stando agli articoli dei due quotidiani, chiude l'anno in bellezza, con un bilancio economico più che positivo per quel che riguarda le sue società.

repubblica.it (30 dicembre 2003)

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Governare è far credere

  • Chi insegna che non la ragione, ma l'amore sentimentale deve governare, apre la strada a coloro che governano con l'odio. (Karl Popper)
  • Chi rompe non paga e si siede al governo. (Leo Longanesi)
  • Governare è far credere. (Niccolò Machiavelli)
  • I governi devono essere conformi alla natura degli uomini governati. (Giovanbattista Vico)
  • I governi [...] hanno concetti dell'onestà diversi di quelli che valgono pei privati. (Vilfredo Pareto)
  • Il governo è come un neonato: ha un canale alimentare con un grande appetito da una parte e nessun senso di responsabilità dall'altra. (Ronald Reagan)
  • Il miglior governo è (naturalmente?) quello che attiva il meglio dell'intelligenza della nazione. (Ezra Pound)
  • La coscienza dell'umanità è suprema su tutti i governi: essi devono esserne interpreti, o non sono legittimi. (Giuseppe Mazzini)
  • Le colpe del governo verso i popoli reagiscono sul governo stesso e su' legami che formano il nodo della società. (David Winspeare)
  • Non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma i governi che devono aver paura dei propri popoli. (Thomas Jefferson)
  • L'esperienza mostra che il momento più pericoloso per un cattivo governo è in genere proprio quando sta cominciando ad emendarsi. (Alexis de Tocqueville)
  • La lotta alla miseria deve essere condotta dal Governo, mentre la ricerca della felicità deve essere lasciata all'iniziativa privata. In altre parole bisogna essere socialisti al vertice e liberi imprenditori alla base. (Karl Popper)
  • La storia ci fa conoscere che le classi governanti hanno sempre procurato di parlare al popolo il linguaggio che stimavano non il più vero, ma il più conveniente allo scopo a cui miravano. (Vilfredo Pareto)
  • Molto spesso, col cambiare del governo, per i poveri cambia solo il nome del padrone. (Fedro)
  • Nessuno è in grado di governare un altro senza il suo consenso. (Abramo Lincoln)
  • Qual è il miglior governo? Quello che ci insegna a governarci da soli. (Johann Wolfgang von Goethe)
  • Un governo di leggi e non di uomini. (John Adams)
  • Uno stato è politicamente libero, se le sue istituzioni politiche rendono di fatto possibile ai suoi cittadini di cambiare governo senza spargimento di sangue, nel caso in cui la maggioranza desideri un tale cambiamento di governo. (Karl Popper)

http://it.wikiquote.org/

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Lasceremo i palazzi del potere nella solitudine della loro miseria

Il movimento della Sapienza scrive alle autorità: "Grazie delle aperture al dialogo con denunce, zone rosse e arresti immotivati. Vogliamo però interloquire con il presidente Napolitano che ha detto che bisogna ascoltare il nostro disagio"
repubblica.it

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la scelta: Eroi o squallidi

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il peggio e’ sempre piu’ probabile

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti


Italo Calvino , La Repubblica 15 marzo 1980

C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, ne’ che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti piu’ o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perche’ quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si e’ piu’ capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioe’ chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere gia’ aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia. Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perche’ per la propria morale interna, cio’ che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito, anzi benemerito, in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalita’ formale, quindi, non escludeva una superiore legalita’ sostanziale. Vero e’ che in ogni transazione illecita a favore di entita’ collettive e’ usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che, per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se’ una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene, il privato che si trovava ad intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro di aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioe’ poteva, senza ipocrisia, convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita. Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale, alimentato dalle imposte su ogni attivita’ lecita e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Poiche’ in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta, ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse), la finanza pubblica serviva ad integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attivita’ che sempre in nome del bene comune si erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse, che in altre epoche e civilta’ poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza di atto di forza (cosi’ come in certe localita’ all’esazione da parte dello Stato si aggiungeva quella di organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori, pur provando anziche’ il sollievo del dovere compiuto, la sensazione sgradevole di una complicita’ passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attivita’ illecite, normalmente esentate da ogni imposta.

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva di applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziche’ di soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse di un regolamento di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosi’ che era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle guerre tra interessi illeciti oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e di interessi illeciti come tutti gli altri. Naturalmente, una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale, che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche si inserivano come un elemento di imprevedibilita’ nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita. In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che usavano quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini illustri e oscuri si proponevano come l’unica alternativa globale del sistema. Ma il loro effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile e ne confermavano la convinzione di essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla. Cosi’ tutte le forme di illecito, da quelle piu’ sornione a quelle piu’ feroci, si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilita’ e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto, dunque, dirsi unanimemente felici gli abitanti di quel paese se non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.

Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, ne’ patriottici, ne’ sociali, ne’ religiosi, che non avevano piu’ corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano cosi’, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altra persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtu’ sono cose che riscuotono troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in mala fede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per se’ (o almeno quel potere che interessava agli altri), non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute piu’ nascoste; in una societa’ migliore non speravano perche’ sapevano che il peggio e’ sempre piu’ probabile.

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, cosi’ come in margine a tutte le societa’ durate millenni s’era perpetuata una controsocieta’ di malandrini, tagliaborse, ladruncoli e gabbamondo, una controsocieta’ che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare "la" societa’, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della societa’ dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di se’ (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera, allegra e vitale, cosi’ la controsocieta’ degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversita’, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno piu’ dire, di qualcosa che non e’ stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’e’.

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non si piegò. Sulla paura prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato


ETICA CRISTIANA E VIRTU’ BORGHESI

Il “caso Ambrosoli”


di Gherardo Colombo

Il 12 luglio 1979, sotto casa, di notte, viene ucciso  Giorgio Ambrosoli. 
Chi lo uccide non è un terrorista, è un killer prezzolato che lo uccide per il suo lavoro. 
Ambrosoli,  avvocato civilista, esperto in liquidazioni coatte amministrative, aveva lavorato con grande competenza nella liquidazione della SFI, ed era perciò stato nominato in seguito commissario liquidatore  della Banca Privata, controllata da  Michele Sindona, della quale nel 1974 era stata dichiarata l'insolvenza, e cioè il fallimento. 
Sindona, fino ad allora, era il più potente banchiere privato italiano e il massimo esponente della così detta “finanza cattolica”.
Ambrosoli, giovane professionista (era nato a Milano il 17 ottobre 1933), di convinzione  monarchica e liberale, impegnato a fare cultura più che politica,   aveva il compito di ricostruire i motivi del fallimento e di recuperare il denaro distratto da Sindona. 
Nella lettera testamento del 25 febbraio 1975 indirizzata alla moglie Annalori, che la troverà dopo la morte del marito fra le sue carte,  Ambrosoli  scrive di essersi trovato  così,  di colpo, a “fare politica per conto dello Stato e non di un partito”; ad impedire che ricadessero sui cittadini le passività delle  banche di Sindona.
Quando il suo lavoro cominciò a dare frutti, e venne acquisita alla liquidazione la holding  estera che controllava l’impero societario di Sindona, iniziarono le intimidazioni, che divennero continue; le voci anonime che telefonicamente minacciavano Ambrosoli parlavano di dettagli conosciuti soltanto da chi aveva con lui stretti rapporti proprio riguardo alla liquidazione della banca.
Procedevano intanto anche le manovre politiche a protezione di Sindona; per indurre la giustizia americana a non estradare il banchiere  personaggi di rilievo, tra cui il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma,  sottoscrissero “affidavit” a sostegno dell’imputato, affermando che era vittima di una persecuzione politica pilotata dalla sinistra.
Amborosoli però non si piegò. Sulla paura  prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato.
Poichè Sindona era fallito anche in America, e i magistrati di New York si trasferirono in Italia per saperne di più sui suoi metodi, sulle sue malefatte italiane.  Assunsero, per giorni  la lunga testimonianza di Ambrosoli,   che metteva a nudo le responsabilità di Sindona. 
Ambrosoli venne ucciso la notte precedente alla sottoscrizione formale delle sue dichiarazioni. 
Giorgio Ambrosoli   era sposato ed aveva tre figli: Francesca, Filippo e Umberto, amava teneramente la sua famiglia, alla quale fu sottratto da chi voleva conservare il proprio potere e le proprie illecite ricchezze.
La vicenda di Ambrosoli pone  inquietanti interrogativi  sul modo di essere della nostra società.
Ambrosoli   che era uomo delle regole, ebbe tutti, o quasi tutti, contro.  Era considerato per la cultura di allora (intendendo per cultura l'insieme dei punti di riferimento che valgono per la generalità o meglio per la maggior parte delle persone e, nel caso specifico, delle persone che contano) , e forse continua ad essere considerato anche per la cultura di adesso, un personaggio a dir poco anomalo.  Perché?.
Parto dal presupposto che nessuno sia necessariamente in malafede, e mi chiedo: ma perché mai una valutazione di tal genere su Ambrosoli era (e forse sarebbe ancora) così diffusa?  Non posso pensare che tutti siano così legati al proprio interesse personale, ai propri soldi, alla propria furbizia da  dare un giudizio negativo su Ambrosoli solo perché il suo operare contrastava con precise mire di potere personale o con la evidente salvaguardia di concreti privilegi.  Le persone  direttamente colpite dalla sua azione  erano, del resto,  una minoranza, meno numerosi comunque di coloro che invece dalla onesta liquidazione dell’impero di Sindona traevano vantaggio.
 Ed allora, come mai Ambrosoli è stato considerato “uno fuori del mondo”?  Come mai esiste una convinzione così diffusa e radicata secondo la quale c'è sì la regola. ma la vita  è comunque un'altra cosa rispetto alla regola?  Essa  non riguarda soltanto  quella parte di società che Stajano ha individuato intitolando il suo libro “Un eroe borghese”. E’ ben più diffusa nella nostra società, non è prerogativa solo d'una sua componente. 
Peraltro la convinzione secondo cui la regola è cosa diversa dal vivere si combina in una singolare misura con il radicato atteggiamento secondo il quale il rispetto delle regole viene chiesto agli altri, mentre ciascuno risulta intimamente convinto di esserne personalmente svincolato.  C'è, secondo me, questa diffusa doppiezza, secondo la quale coloro con i quali ti trovi, anche occasionalmente, in contraddittorio sono tenuti, loro, a rispettare le regole, mentre se le rispetti tu finisci quasi per sentirti uno sprovveduto.
Mi sembra ovvio che  fin quando queste convinzioni saranno capillarmente diffuse sarà ben difficile che nel nostro paese possa instaurarsi una effettiva legalità.
Va poi sottolineato  un altro profilo: molti si sentono vittime della malvagità altrui, ma il loro atteggiamento è quello dello spettatore impotente, che non partecipa al gioco, che non ha strumenti per incidere, per far pesare il suo punto di vista, per comunicare ad altri (compresi i  potenti che siano allo stesso tempo “malvagi”) le proprie convinzioni e convincere a sua volta chi gli sta intorno.  Tale atteggiamento il più delle volte è in contraddizione con la realtà ed è comunque soltanto distruttivo e assolutamente pessimista.
Esso inoltre suscita un atteggiamento di fastidio come se chi vuole il rispetto della legalità venisse a turbare un  “equilibrio”, una sicurezza, una consuetudine, che evidentemente paiono valori in sé, ancorché determinino danni per tutta la collettività.

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sfiducia alla mafia

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i frutti avvelenati del berlusconismo

Il giorno del giudizio

Fiducia sì, fiducia no


Arturo Meli

Fiducia sì, fiducia no?  Solo il fatale martedì 14 potrà sciogliere il giallo. Oggi, nessuno può essere certo di come si risolverà un voto sul filo del rasoio. Ma Berlusconi ostenta una dose sconfinata di ottimismo. Un po’ è propaganda, un po’ il gusto dell’azzardo. Tutto fa brodo nel calderone del premier. Si sfrutta anche il puntello vaticano, per mettere un bastone nelle ruote del tandem Fini-Casini, dopo che il segretario di stato, il cardinale Tarcisio Bertone, ha portato al premier i segni della benevolenza papale. Ma conta, soprattutto, per il Cavaliere, la campagna acquisti in corso a Montecitorio. Dal pallottoliere gli arriverebbero numeri rassicuranti. La compravendita funziona, ci sono offerte promozionali per tutti i gusti. La scena politica ha già conosciuto pagine poco commendevoli. Mai, però, era stato così. Discredito si aggiunge a discredito, si affonda nella melma dei tradimenti e dei ricatti. E il tassametro della fiducia è destinato a salire. Le proposte si fanno sempre più allettanti, per soddisfare ambizioni personali, ma anche ... leggi tutto www.libertaegiustizia.it

comunque vada rimarrà negli anni come il peggior parlamento di sempre

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i soldi morti di berlusconi




da "I Siciliani nuovi", marzo 1994

Per quanto riguarda il denaro da riciclare in provenienza dall'Italia, (v. nostro rapporto 10.6.91), il medesimo apparterrebbe al clan di Silvio BERLUSCONI. Già si dispone del codice di chiamata (per il trasferimento di denaro dell'Italia): dovranno unicamente designare una persona di fiducia di tale gruppo.
Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto poiché anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati. All'epoca si interessava dell'indagine l'allora giudice Di Maggio, che era stato anche in Ticino per conferire con l'ex procuratore pubblico on. Dick Marty».
Il rapporto della polizia cantonale di Bellinzona, graziosa cittadina del Canton Ticino, è datato 13 settembre 1991, e intitolato: «aggiornamento Operazioni "ATLANTIDA" e "MATO GROSSO"». Risulta inviato al comandante della polizia cantonale Mauro Dell'Ambrogio, al Procuratore Pubblico di Lugano Carla Del Ponte e a quello di Bellinzona, Jacques Ducry. A firmarlo sono il comandante della sezione "Informazioni droga" del Canton Ticino Daniele Corazzini e il comandante della polizia di Bellinzona, Silvano Sulmoni. Questo delicatissimo documento è allegato agli atti dell'inchiesta "Mato Grosso", ferma da diversi mesi alla procura di Lugano.
A parlare per primi del presunto coinvolgimento di Silvio Berlusconi nell'inchiesta "Mato Grosso", furono i giornalisti del quotidiano svizzero "L'Altranotizia",
che pubblicarono una serie di servizi tra novembre e dicembre dello scorso anno. Partendo da quella notizia, abbiamo rintracciato il rapporto della polizia di Bellinzona, con il suo sconcertante contenuto: Silvio Berlusconi - o meglio «il clan Berlusconi», come scrivono le autorità svizzere - sospettato di essere coinvolto in una grossa operazione di riciclaggio. O addirittura, come si legge nel documento, già messo sotto inchiesta in passato per la "Pizza Connection", una gigantesca indagine sugli affari di grandi boss della mafia turca e siciliana, che intrattenevano rapporti da un lato con i salotti buoni della finanza svizzera, e dall'altro con il capo della P2 Licio Gelli (vedi "Avvenimenti" del 19 gennaio 1994).
"Avvenimenti" aveva già documentato, nelle scorse settimane, i rapporti di antichissima data tra il gruppo Berlusconi, e la Fi.Mo., una finanziaria svizzera specializzata nella gestione di capitali "sporchi", e coinvolta nelle indagini sul "cartel" di Medellin; e quei rapporti erano stati confermati dalle dichiarazioni di Gianmauro Borsano, presidente del Torino Calcio, ai magistrati che indagano sull'affare Lentini. Ma prima di deciderci a scrivere di questa seconda vicenda, riguardante un candidato al governo dell'Italia, e quindi obbligato a particolari doti di trasparenza, siamo andati per molte settimane a caccia di conferme o smentite alle notizie contenute nel rapporto del 13 settembre 1991, firmato da due alti funzionari di polizia e regolarmente inviato a tutte le autorità inquirenti. Abbiamo raccolto tanto le conferme quanto le smentite. Ma prima di tirare conclusioni, bisogna raccontare una storia. L'incredibile storia di un finanziere, di un poliziotto, e di una città invisibile.
La mattina del 12 giugno 1991 pioveva sul Ticino e sul nord Italia. Il finanziere ispano-brasiliano Juan Ripoll Mari compose, da Torino, il numero di un ufficio di trasporti di Chiasso, al confine italo-svizzero. All'altro capo del filo rispose, in spagnolo, un uomo che salutò cordialmente Ripoll Mari. I due si diedero appuntamento per qualche ora dopo, nell'ufficio di Chiasso.
L'uomo di Chiasso, che Ripoll Mari conosceva come un trasportatore di pochi scrupoli, era in realtà un agente della polizia cantonale specializzato in operazioni "undercover", sotto copertura. Dal suo lavoro erano scaturite molte operazioni contro il grande riciclaggio del denaro sporco in Svizzera: dalla "Green Ice" alla "Octopus", fino alla "Lebanon Connection".
A Juan Ripoll Mari, il poliziotto si era presentato come proprietario di una agenzia di trasporti specializzata nel far passare illegalmente alla dogana italo-elvetica merci di ogni genere. L'agente infiltrato aveva mostrato con legittimo orgoglio a Ripoll Mari i suoi furgoncini con doppio fondo, e i suoi ragazzi pronti a rischiare la galera ad ogni passaggio di frontiera in cambio di un ottimo stipendio. Ripoll Mari aveva voluto incontrare molte volte il trasportatore ticinese prima di affidargli il lavoro. Alla fine aveva deciso di fidarsi, e i due erano persino diventati amici.
La fiducia era molto importante in quel lavoro, perché non era un lavoro qualunque. Ufficialmente Ripoll Mari era un grande esportatore di prodotti dal Sud America: succhi di frutta, blocchi di granito, shampoo vegetale, aragoste, frigoriferi. Possedeva una enorme villa a Rio de Janeiro, proprio sotto il Corcovado. Ed era un amico personale di Leonida Brizola, potente e chiacchierato governatore dello Stato di Rio.
Ripoll Mari, invece, era molto più che chiacchierato. Da molti mesi poliziotti di vari paesi lo tenevano d'occhio. Lo consideravano non un trafficante qualsiasi, ma un grande esperto in tecniche di riciclaggio del denaro sporco. A lui, secondo le polizie di mezza Europa, si rivolgevano tutti coloro - imprenditori, mafiosi, politici e narcotrafficanti - che avevano necessità di far uscire dai loro paesi grosse quantità di denaro di provenienza oscura: dall'evasione fiscale, alle tangenti, fino alla vendita di droga.
L'opera di infiltrazione, affidata nel dicembre del 1990 allo specialista della polizia svizzera, procedeva bene. Una sera, a Lugano, Ripoll Mari aveva parlato all'amico ticinese di un progetto gigantesco: la costruzione di una intera città, 3000 chilometri a nord di Rio de Janeiro, nel Mato Grosso. La città, aveva raccontato Ripoll Mari, si sarebbe chiamata Nova Atlantida, e sarebbe stata edificata interamente con i soldi "sporchi" di una sorta di "consorzio" tra politici brasiliani e soci europei che avevano bisogno di esportare e investire denaro di provenienza non confessabile. 3-400 milioni di dollari, per cominciare.
«Il tuo compito - aveva spiegato Ripoll Mari all'agente infiltrato - sarà quello di trasportare i soldi da Spagna, Francia e Italia in Svizzera, e di versarli su un conto corrente aperto a Lugano». Il poliziotto non aveva fatto domande, perché la discrezione era una delle qualità che Ripoll Mari apprezzava maggiormente. Ma quella stessa notte, nell'albergo in cui era alloggiato, aveva incontrato un suo collega, e gli aveva riferito parola per parola il discorso di Ripoll Mari. L'operazione era così iniziata ufficialmente. Era stato un funzionario della polizia svizzera a decidere che si sarebbe chiamata, in codice, "operazione Mato Grosso".
Ripoll Mari arrivò a Chiasso intorno alle undici del mattino, e aveva appena finito di piovere. Si infilò in un palazzo al numero 45 di Carso S. Gottardo. L'agente "undercover" gli andò incontro sulle scale, si salutarono con una robusta stretta di mano. Rimasero a parlare per diverse ore, con una sola breve pausa per il pranzo, in un ristorante poco lontano.
Ripoll Mari annunciò all'amico che l'operazione stava per partire. Pazientemente, gli spiegò quali sarebbero stati i codici da utilizzare per mettersi in contatto con i soci del "consorzio" che in Francia, Spagna e Italia gli avrebbero fornito il denaro da portare in Svizzera. Ogni volta, il trasportatore avrebbe dovuto telefonare a un numero che Ripoll Mari gli avrebbe comunicato, e pronunciare il suo nome accompagnato dalla data del giorno in corso. Le istruzioni, cambiavano leggermente da Paese in Paese. Ai francesi, l'amico di Ripoll Mari avrebbe dovuto dare il suo nome seguito da giorno, mese e anno. Agli spagnoli il nome e poi l'anno, il mese e il giorno; agli italiani, infine, giorno, mese, anno e nome. Ogni volta, gli avrebbero fornito in cambio un indirizzo a cui avrebbe dovuto recarsi per prelevare il denaro. Poche decine di milioni all'inizio, per "rodare" la struttura. Poi somme sempre più grosse.
In quella occasione, Ripoll fornì a quello che considerava un suo fidato collaboratore soltanto i numeri di telefono da contattare in Spagna. Da laggiù dovevano arrivare, secondo il finanziere brasiliano, circa 100 milioni di dollari. Un controllo, qualche giorno dopo, avrebbe appurato che quei numeri erano in uso a persone che gravitavano negli ambienti dell'Eta, l'organizzazione indipendentista basca. Ma il poliziotto dovette sforzarsi di non tradire l'emozione quando Ripoll, al ristorante, gli fece il nome dei componenti italiani del "consorzio": «In Italia - spiegò Ripoll all'amico - dovrai andare dagli uomini del clan Berlusconi». E più precisamente, aggiunse, dagli uomini di Torino del clan Berlusconi. Proprio nel capoluogo piemontese, infatti, sarebbe avvenuto il passaggio del denaro.
Nel 1991 Silvio Berlusconi non era ancora un potenziale leader politico, ma le sue tre reti televisive erano già molto seguite in Svizzera, e l'agente si rendeva conto che quel nome dava all'inchiesta uno spessore tutto particolare. Ma lui, da poliziotto, non poteva farci niente. Ma di che razza di denaro si trattava? Questo l'infiltrato non poteva chiederlo senza allarmare Ripoll, e infatti non lo fece. Gli bastava sapere che la commissione che gli sarebbe spettata, su ogni trasporto, era dell'8 per cento. Il riciclaggio di denaro - in questo a furia di fare l'infiltrato era ormai un esperto - ha un suo tariffario: il 30 per cento al "corriere" se si tratta di denaro falso; l'1,5 o il 2 per cento se il denaro è pulito, ma per qualche ragione il proprietario vuole trasferirlo da un paese all'altro senza pubblicità. L'8 per cento è invece la commissione abitualmente fissata per il trasporto di denaro sporco: ossia proveniente da traffico di droga, armi, sequestri di persona; ma forse anche da tangenti, o evasione fiscale. Denaro "nero" in generale, insomma.
Il finto trasportatore e Ripoll Mari si lasciarono nel tardo pomeriggio. Ripoll era soddisfatto, l'agente piuttosto eccitato, perché il momento dell'azione si avvicinava. La mattina dopo, contattò un colonnello della Guardia di Finanza italiana. L'alto ufficiale lavorava all'ufficio "I", una sorta di servizio informazioni delle fiamme gialle, che negli ambienti di polizia è conosciuto come il "servizio oscuro". Se il trasporto dei soldi del "clan Berlusconi" da Torino a Lugano fosse stato intercettato alla dogana di Chiasso, l'intera operazione "Mato Grosso" sarebbe saltata. Il poliziotto voleva che i colleghi italiani lasciassero passare il carico senza problemi, come già altre volte era accaduto.
Il permesso fu concesso, ma a quel punto qualcosa si bloccò: gelosie tra poliziotti, ma soprattutto la presenza di agenti corrotti nel traffico organizzato da Ripoll Mari, portò prima a un rallentamento, e poi al blocco dell'inchiesta. Tutte le carte finirono nell'archivio della Procura di Lugano, dove "Avvenimenti" le ha rintracciate.
Fin qui la storia dell'operazione "Mato Grosso". Ma il rapporto del 13 settembre 1991 fornisce un'altra fragorosa indicazione: «Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto - vi si legge - poiché anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati...». Mai in precedenza il nome di Berlusconi era stato affiancato alle indagini sul gigantesco riciclaggio di narcodollari tra il Sud America, l'Italia e la Svizzera, conclusasi con due processi - a Lugano e a Roma - e con una raffica di condanne. Ma c'è anche da aggiungere che il rapporto svizzero indica la Pizza Connection soltanto come riferimento temporale. E che, oltretutto, gli inquirenti svizzeri tendono a definire come "Pizza Connection" tutte le indagini sul riciclaggio che riguardino l'Italia.
Fissati questi punti fermi, abbiamo lavorato sulla traccia offerta dal rapporto della polizia di Bellinzona. Verificando che qui, a differenza che nella "operazione Mato Grosso", i contorni del presunto coinvolgimento di Berlusconi sono più sfumati e incerti. Nel rapporto vengono fatti i nomi di due magistrati «interessati» alle indagini, l'italiano Francesco Di Maggio, e lo svizzero Dick Marty. Un funzionario della polizia elvetica, che chiameremo convenzionalmente A.B., ha detto ad "Avvenimenti": «Nel 1989 Di Maggio stava lavorando insieme a un colonnello della Guardia di Finanza a una inchiesta sul casinò di Nizza, ed era inciampato su due nomi illustri, quelli di Silvio Berlusconi e di un suo amico, ex campione di motonautica, Renato Della Valle (socio di Berlusconi in "Telepiù"). La Guardia di Finanza aveva intercettato delle telefonate tra Della Valle e un certo Macolin, un torinese, in cui si parlava anche di Berlusconi. Senza informare la magistratura, un corpo di polizia italiano mise sotto controllo anche i telefoni di Silvio Berlusconi. Successivamente Di Maggio venne in Svizzera per interrogare un ticinese che già in passato aveva collaborato con le forze di polizia e che conosce bene gli ambienti finanziari elvetici e italiani».
L'incontro tra Di Maggio e il collaboratore della giustizia si svolse a Chiasso, alla presenza di Dick Marty, e fu redatto anche un verbale. Dick Marty, che ha smesso la toga e oggi fa il deputato al parlamento svizzero, dice di aver collaborato spesso con l'amico e collega Di Maggio. «Ma non ricordo questa occasione - aggiunge - e in ogni caso non potrei parlarne in ossequio al principio della segretezza delle indagini».
Anche Di Maggio - uno dei grandi esperti dell'intreccio tra mafia e alta finanza milanese - ha smesso di fare l'inquirente e oggi è vicedirettore degli istituti di prevenzione e pena. Ricorda l'indagine, partita dalle intercettazioni sulle utenze di Macolin, e conferma l'episodio del viaggio in Svizzera: «Interrogammo un testimone a Chiasso - racconta - e mettemmo a verbale le sue dichiarazioni, che poi confluirono in una indagine sui casinò». Di Maggio, però, smentisce che siano state messe a verbale circostanze riguardanti Berlusconi.
Anche il sostituto procuratore di Roma Aurelio Galasso, che condusse il troncone italiano dell'inchiesta sulla Pizza Connection, esclude che il nome di Silvio Berlusconi sia mai finito tra quello delle persone indagate. Ricorda però che, nel corso di quelle indagini, la Criminalpol di Milano gli inviò un rapporto in cui si parlava di Silvio Berlusconi e dei suoi rapporti con Vittorio Mangano, un boss della mafia palermitana trasferitosi a Milano a metà degli anni '70 ed entrato in contatto con un gruppo di "colletti bianchi", imprenditori e finanzieri milanesi particolarmente spregiudicati. Mangano, che a Milano faceva la bella vita e soggiornava al lussuoso hotel "Duca di York", rischiava il foglio di via della Questura, a causa dei suoi precedenti penali e della mancanza di un lavoro che ne giustificasse la permanenza in Lombardia. Ma trovò occupazione, fortunatamente, proprio ad Arcore, come stalliere della scuderia del cavalier Berlusconi. Il licenziamento arrivò solo nel 1980, pochi giorni prima dell'arresto per traffico di stupefacenti e altri reati.
Vecchie e nuove storie, che si intrecciano attorno all'uomo più discusso - nel bene e nel male - del momento. Una vecchia storia - la Pizza Connection - un po' vaga e nebulosa, e una nuova - il "Mato Grosso" - che ha contorni più netti, ma che si è fermata su un binario morto proprio nel momento decisivo. Ma non è detto che l'inchiesta sui capitali illegali in viaggio tra Europa e Brasile non possa riaprirsi da un momento all'altro.
A Ginevra, proprio in queste settimane, la polizia cantonale ha ripreso l'indagine dal punto in cui era stata abbandonata. E nei giorni scorsi il presidente del tribunale di Rio de Janeiro, Antonio Carlos Amorin, è venuto a Roma per incontrare alcuni colleghi italiani e lanciare un allarme: «il problema principale che abbiamo in questo momento non è il traffico di droga - ha spiegato Amorin - ma quello di denaro. Dall'Italia sta giungendo un flusso ininterrotto di denaro sporco. Viene dalla mafia, dalla grande criminalità e dalla finanza illegale. Decine e decine di miliardi di dollari che non transitano attraverso i canali ufficiali e di cui non si ha traccia presso la Banca Centrale del Brasile. Arriva nel nostro paese in mille modi, come la droga».
L'interesse di questi misteriosi esportatori di denaro, secondo Amorin, «è chiaramente politico. Si finanzia un partito politico, o suoi esponenti, per averne un ritorno economico quando questi uomini saranno al potere. Più o meno quello che è accaduto da voi. Sono convinto che per capire la nostra tangentopoli bisogna prima capire quali sono stati i personaggi principali e i sistemi occulti della vostra».

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corruzione vuol dire fiducia

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i berlustopi

sempre a caccia di rifiuti umani




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“Io sono Wikileaks”


“I’m Wikileaks”. Artista, rivoluzionario, criminale, pericolo pubblico. Un mostro, un eroe. Per Julian Assange definizioni e aggettivi si sprecano. Del caso Wikileaks e del suo fondatore si discute ovunque. In rete soprattutto. E se è impossibile fare la conta tra favorevoli o contrari, c’è di sicuro che negli Stati Uniti “I’m Wikileaks” è al momento uno degli slogan più diffusi sul web. Ci si immedesima, si approvano opera e metodi.Alla ricerca dei cablogrammi. Anche in Italia tanti blogger, artisti e attivisti in rete sposano la causa di Assange. E’ il caso di Valigia Blu che nelle ultime ore sta diffondendo l’avatar “I’m with Julian Assange and Wikileaks”, un ... continua

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il politico italiano più compromesso di tutti ha danneggiato gravemente la situazione italiana, inasprito la crisi politica e morale e reso l’Italia una zavorra per l’UE

Il declino dell’Italia lo rafforza


[Svenska Dagbladet]

POTERE MEDIATICO. Malgrado la frivolezza, le bugie e una retorica piena di pregiudizi contro le donne, Silvio Berlusconi è rimasto agganciato al potere. Kristina Kappelin cerca la spiegazione di questo paradosso nel lento crollo della repubblica italiana.
Negli ultimi 20 anni la politica italiana si è differenziata dalle principali tendenze europee. All’inizio degli anni ’90, dopo il collasso dell’intero sistema partitico tradizionale, il grande partito democristiano scomparve da un giorno all’altro e i comunisti si trasformarono in socialdemocratici.
Allo stesso tempo, l’Italia moderata trovava un nuovo leader politico nel sospetto magnate dei media Silvio Berlusconi. Contrariamente a quanto prevedevano i più, almeno fuori dall’Italia, non si è trattato di una breve parentesi: 16 anni dopo il primo trionfo domina ancora la politica italiana, anche se il suo tragitto sembra adesso avvicinarsi al termine.
Con il libro ”Berlusconi, l’italiano” la giornalista Kristina Kappelin, leggi tutto

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AHIME'! AH VITA!

Ahimè! Ah vita! di queste domande che ricorrono,
degli infiniti cortei di senza fede, di citta piene di sciocchi,
di me stesso che sempre mi rimprovero, (perchè chi più sciocco
di me, e chi più senza fede? )
di occhi che invano bramano la luce, di meschini scopi,
della battaglia sempre rinnovata,
dei poveri risultati di tutto, della folla che vedo sordida
camminare a fatica intorno a me,
dei vuoti ed inutili anni degli altri, io con gli altri legato in tanti
nodi,
la domanda, ahimè, la domanda così triste che ricorre-Che cosa
c'è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita!

Risposta
Che tu sei qui - che esiste la vita e l'individuo,
che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi
con un tuo verso.

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una struttura sociale malata

Oligarchia e proletariato



Immagine di Il tallone di ferro

Il "Tallone di Ferro" di J. London è a parer mio un libro che non si può non leggere. Dovrebbe essere in tutte le scuole e biblioteche.
Narra ,con estrema lucidità e critica, dell'eterno scontro tra le parti sociali.
Ho trovato inquietante leggere di fatti ,ambientati all'inizio del 1900,che si ripetono al giorno d'oggi.
Vi si trova la descrizione del lavoratore reso schiavo, per il bisogno di mantenere la propria famiglia, dagli oligarchi che sfruttano il capitale per mantenere e rafforzare il loro potere.
L'arricchimento di pochi eletti a scapito di tutti gli altri porta inevitabilmente a una struttura sociale malata . La sparizione della media borghesia è il sintomo più evidente dell'attuazione di un disegno finalizzato al controllo totale da parte di chi possiede i capitali nei confronti del resto dell'umanità.
In queste pagine è spiegata scientificamente (quindi sulla base di fatti innegabili) il perchè e il percome della nostra società.
Viene descritta la potenza del popolo , numeroso ma non organizzato, e la fredda e cinica macchiana oppressiva degli oligarchi ,povera di numero ma ricca di risorse.
Un monito a non arrendersi e a tenere sempre gli occhi aperti , facendo attenzione ai corteggiamenti dei potenti che con falsi privilegi creano schiavi più felici di altri ma pur sempre schiavi.

le avventure di nemesy

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Metastasi

“Nel '90 il Boss ordinò: votate Lega”


(Tratto dal libro Metastasi, ed Chiarelettere). Ma chi sarebbe il "cavallo" Gamma? Su questo, come su molti altri aspetti, sarà probabilmente la ...

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chiuso per menefreghismo

Montecitorio chiuso una settimana fino

Corriere della Sera - ‎2 ore fa‎
Slitta anche la mozione di sfiducia al ministro Sandro Bondi. Finanziaria: incognita se Senato la cambia Slitta anche la mozione di sfiducia al ministro Sandro Bondi. Finanziaria: incognita se Senato la cambia MILANO - La Camera resterà chiusa da ...
Reuters Italia - RomagnaOggi.it - TGCOM - Adnkronos/IGN

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il manganello a difesa dell'ignoranza



Ecco cosa succede quando incapacità e mediocrità vanno al potere.

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nel paese ... dei balocchi ...

Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi.
Karl Popper

Anarchico è colui che dopo una lunga, affannosa e disperata ricerca ha trovato sé stesso e si è posto, sdegnoso e superbo "sui margini della società" negando a qualsiasi il diritto di giudicarlo.
Renzo Novatore (da I fiori selvaggi, in Cronaca Libertaria, 1917). 

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in rete

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Italo Calvino


Diano Marina