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non si piegò. Sulla paura prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato


ETICA CRISTIANA E VIRTU’ BORGHESI

Il “caso Ambrosoli”


di Gherardo Colombo

Il 12 luglio 1979, sotto casa, di notte, viene ucciso  Giorgio Ambrosoli. 
Chi lo uccide non è un terrorista, è un killer prezzolato che lo uccide per il suo lavoro. 
Ambrosoli,  avvocato civilista, esperto in liquidazioni coatte amministrative, aveva lavorato con grande competenza nella liquidazione della SFI, ed era perciò stato nominato in seguito commissario liquidatore  della Banca Privata, controllata da  Michele Sindona, della quale nel 1974 era stata dichiarata l'insolvenza, e cioè il fallimento. 
Sindona, fino ad allora, era il più potente banchiere privato italiano e il massimo esponente della così detta “finanza cattolica”.
Ambrosoli, giovane professionista (era nato a Milano il 17 ottobre 1933), di convinzione  monarchica e liberale, impegnato a fare cultura più che politica,   aveva il compito di ricostruire i motivi del fallimento e di recuperare il denaro distratto da Sindona. 
Nella lettera testamento del 25 febbraio 1975 indirizzata alla moglie Annalori, che la troverà dopo la morte del marito fra le sue carte,  Ambrosoli  scrive di essersi trovato  così,  di colpo, a “fare politica per conto dello Stato e non di un partito”; ad impedire che ricadessero sui cittadini le passività delle  banche di Sindona.
Quando il suo lavoro cominciò a dare frutti, e venne acquisita alla liquidazione la holding  estera che controllava l’impero societario di Sindona, iniziarono le intimidazioni, che divennero continue; le voci anonime che telefonicamente minacciavano Ambrosoli parlavano di dettagli conosciuti soltanto da chi aveva con lui stretti rapporti proprio riguardo alla liquidazione della banca.
Procedevano intanto anche le manovre politiche a protezione di Sindona; per indurre la giustizia americana a non estradare il banchiere  personaggi di rilievo, tra cui il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma,  sottoscrissero “affidavit” a sostegno dell’imputato, affermando che era vittima di una persecuzione politica pilotata dalla sinistra.
Amborosoli però non si piegò. Sulla paura  prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato.
Poichè Sindona era fallito anche in America, e i magistrati di New York si trasferirono in Italia per saperne di più sui suoi metodi, sulle sue malefatte italiane.  Assunsero, per giorni  la lunga testimonianza di Ambrosoli,   che metteva a nudo le responsabilità di Sindona. 
Ambrosoli venne ucciso la notte precedente alla sottoscrizione formale delle sue dichiarazioni. 
Giorgio Ambrosoli   era sposato ed aveva tre figli: Francesca, Filippo e Umberto, amava teneramente la sua famiglia, alla quale fu sottratto da chi voleva conservare il proprio potere e le proprie illecite ricchezze.
La vicenda di Ambrosoli pone  inquietanti interrogativi  sul modo di essere della nostra società.
Ambrosoli   che era uomo delle regole, ebbe tutti, o quasi tutti, contro.  Era considerato per la cultura di allora (intendendo per cultura l'insieme dei punti di riferimento che valgono per la generalità o meglio per la maggior parte delle persone e, nel caso specifico, delle persone che contano) , e forse continua ad essere considerato anche per la cultura di adesso, un personaggio a dir poco anomalo.  Perché?.
Parto dal presupposto che nessuno sia necessariamente in malafede, e mi chiedo: ma perché mai una valutazione di tal genere su Ambrosoli era (e forse sarebbe ancora) così diffusa?  Non posso pensare che tutti siano così legati al proprio interesse personale, ai propri soldi, alla propria furbizia da  dare un giudizio negativo su Ambrosoli solo perché il suo operare contrastava con precise mire di potere personale o con la evidente salvaguardia di concreti privilegi.  Le persone  direttamente colpite dalla sua azione  erano, del resto,  una minoranza, meno numerosi comunque di coloro che invece dalla onesta liquidazione dell’impero di Sindona traevano vantaggio.
 Ed allora, come mai Ambrosoli è stato considerato “uno fuori del mondo”?  Come mai esiste una convinzione così diffusa e radicata secondo la quale c'è sì la regola. ma la vita  è comunque un'altra cosa rispetto alla regola?  Essa  non riguarda soltanto  quella parte di società che Stajano ha individuato intitolando il suo libro “Un eroe borghese”. E’ ben più diffusa nella nostra società, non è prerogativa solo d'una sua componente. 
Peraltro la convinzione secondo cui la regola è cosa diversa dal vivere si combina in una singolare misura con il radicato atteggiamento secondo il quale il rispetto delle regole viene chiesto agli altri, mentre ciascuno risulta intimamente convinto di esserne personalmente svincolato.  C'è, secondo me, questa diffusa doppiezza, secondo la quale coloro con i quali ti trovi, anche occasionalmente, in contraddittorio sono tenuti, loro, a rispettare le regole, mentre se le rispetti tu finisci quasi per sentirti uno sprovveduto.
Mi sembra ovvio che  fin quando queste convinzioni saranno capillarmente diffuse sarà ben difficile che nel nostro paese possa instaurarsi una effettiva legalità.
Va poi sottolineato  un altro profilo: molti si sentono vittime della malvagità altrui, ma il loro atteggiamento è quello dello spettatore impotente, che non partecipa al gioco, che non ha strumenti per incidere, per far pesare il suo punto di vista, per comunicare ad altri (compresi i  potenti che siano allo stesso tempo “malvagi”) le proprie convinzioni e convincere a sua volta chi gli sta intorno.  Tale atteggiamento il più delle volte è in contraddizione con la realtà ed è comunque soltanto distruttivo e assolutamente pessimista.
Esso inoltre suscita un atteggiamento di fastidio come se chi vuole il rispetto della legalità venisse a turbare un  “equilibrio”, una sicurezza, una consuetudine, che evidentemente paiono valori in sé, ancorché determinino danni per tutta la collettività.

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Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi.
Karl Popper

Anarchico è colui che dopo una lunga, affannosa e disperata ricerca ha trovato sé stesso e si è posto, sdegnoso e superbo "sui margini della società" negando a qualsiasi il diritto di giudicarlo.
Renzo Novatore (da I fiori selvaggi, in Cronaca Libertaria, 1917). 

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