Tratto da www.inviatospeciale.comIl 25 aprile, la Festa dei Giusti
Di solito è di cattivo gusto per un giornalista scrivere in prima persona. Ma questa volta è il caso di correre il rischio, perchè il giorno della Liberazione non è solo una Festa nazionale, ma è anche parte di noi stessi, della nostra vita.
C’era una volta un Paese appena uscito dalla guerra. Molti i palazzi ancora diroccati, sulle coste i piazzali di cemento armato per i cannoni anti invasione del fascismo, i bunker lungo le strade, la povertà che si vedeva senza fatica. Poi, c’era la passione. Un sentimento volitivo e forte per la politica della stragrande maggioranza dei cittadini. Sui muri delle sezioni di partito erano affissi i giornali, l’Unità, l’Avanti, il Popolo, La Voce Repubblicana e tanti altri e le persone stavano lì in fila a leggerli, quando sapevano leggere, che non era da tutti.
La parola ‘fascismo’ si pronunciava con disprezzo. Era un sentimento comune per democristiani e socialisti, comunisti, repubblicani. E con loro i liberali, i socialdemocratici, gli ultimi azionisti e quelli che avevano fatto parte di Democrazia del lavoro. Formazioni politiche scomparse, identità perdute, il partimonio storico della Resistenza, del Comitato di liberazione nazionale, della lotta clandestina e poi della Prima Repubblica. Litigavano non poco, ma erano uniti in una pensiero di sdegno per le tragedie del ventennio, per la repressione della dissidenza, per il confino, il Tribunale speciale, le leggi razziali, gli omicidi e l’olio di ricino quando andava bene.
Il conflitto mondiale da 56 milioni di morti non era da evocare. Stava lì, nelle città e per le campagne, tra residuati bellici e case devastate. Il gruppetto sparuto di nostalgici del regime criminale ....
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