Il primo a parlare di alienazione fu Rousseau. Secondo il filosofo francese, l'alienazione avveniva nel momento in cui i cittadini, "stringendo" il contratto sociale, si alienavano di tutti i loro diritti a favore di un'entità superiore, lo Stato.
Successivamente il concetto di alienazione occuperà un posto rilevante sia nella filosofia di Hegel che nei lavori di Marx ed Engels, la cui impostazione filosofica del pensiero è esplicitamente derivata dalla dialettica hegeliana. All'interno del sistema di pensiero di Hegel l'alienazione quale momento dello sviluppo dello spirito è intesa in senso sia negativo che positivo. Egli ritiene infatti che l'alienazione, considerata come un estraniarsi dello spirito a se stesso, avviene quando questo, nell'oggettivare se stesso, si proietta al di fuori di sé, divenendo così natura.
[...]
Secondo la psicoanalisi l'individuo vive in prima persona la contraddizione che lo mette in croce tra "natura" e "cultura". Freud ritiene che questa contraddizione sia insolubile e che comunque
per quanto la scelta della cultura corrisponda al processo di civilizzazione, tale civilizzazione non possa essere vissuta dal singolo individuo se non come una alienazione da sé st esso per il sacrificio della pulsionalità immediata che essa richiede. Da qui il disagio fondamentale che il singolo deve accettare: il disagio appunto della civiltà che lo porta a dover scegliere tra eros o civiltà, tra civiltà o barbarie. Questo è il prezzo che il singolo deve pagare per poter beneficiare della civilizzazione. Taluni non sono disposti a pagare tale prezzo o lo ritengono consciamente o inconsciamente troppo elevato, e in taluni casi lo può essere veramente, oppure non avere gli strumenti conoscitivi per riuscire a gestirsi tale contraddizione sì da venire a trovarsi nella confusione, da qui la nevrosi
e in taluni casi anche la psicosi.
Il principale allievo di Freud, lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, pur mantenendo lo stesso scenario di impostazione alla problematica dell'alienazione, non giunge alle stesse conclusioni "pessimistiche" del suo maestro viennese, in quanto, per Jung, la naturale attività simbolizzatrice
del pensiero - che la psicoanalisi semplicemente riattiva o permette di esercitare come in una palestra del pensiero riflessivo e non ripetitivo - è proprio ciò che permette la sintesi reale dei contrari. Per Jung, infatti, lo spirito non è sublimazione; esso non cela la sessualità come nella concezione riduttivistica della attività e dimensione spirituale che è propria di Freud e dei suoi epigoni. Per Jung, invece, lo spirito vero coincide con la stessa libido che vuole ciò che la libido vuole: l'unione, ma ad un livello riflessivo più elevato da dove riprendere a desiderare l'unione in un procedere negaentropico infinito tale che la tensione natura/cultura, quale croce inscritta
nell'essere da cui scaturisce l'energia psichica, invece di ricadere distruttivamente sul sistema conoscitivo che il singolo incarna, diviene la fonte dove trovare quella forza per procedere ulteriormente. Nota è infatti la frase di Jung che ribalta la lettura della psicopatologia: "Non siamo noi a guarire dalla nevrosi ma è la nevrosi stessa che ci guarisce".
Se decideste di spegnere la televisione e iniziaste a sfogliare dei saggi, vi accorgereste che l'unico grande tema del XX secolo è stata la solitudine e l'alienazione. (Patch Adams)
fonti: wikipedia , wikiquote
ps: se sei onesto ti persegue equitalia, se sei disonesto ti difende napolitano, il pd e le banche,
un tempo si diceva di tutta un'erba un fascio, oggi si potrebbe dire, di tutte le mafie un senatore a vita.
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